Italia fuori dal Mondiale: “Tutti a casa. Si riparte così”
Il commento del direttore Monti sulla Gazzetta dello Sport

(da www.gazzetta.it) MILANO – Italia anno zero. Le lacrime di Buffon e il silenzio attonito di San Siro pesano come una lapide su cui resterà inciso il verdetto senza appello: Russia addio, siamo fuori dal Mondiale come non accadeva dal lontanissimo 1958.
È una delle pagine più nere della nostra storia sportiva, uno schiaffo brutale oltre che un danno incalcolabile per un Paese che vive e respira calcio…
All’infinita delusione dei 70.000 sugli spalti e dei molti milioni che hanno sofferto davanti alla tv si aggiunge la sensazione che le parole grosse volate alla vigilia, in realtà, fossero sbagliate per difetto. Non è stata un’apocalisse, non ne ha avuto la biblica grandezza. E neppure una catastrofe, figlia del destino cinico e baro. La sconclusionata partita della Nazionale contro la Svezia, un avversario di infinita modestia, è parsa piuttosto un naufragio mesto e colpevole. Fatte le debite proporzioni, l’equivalente sportivo del Titanic: zavorrato da un carico di mollezza e di superbia, il bastimento azzurro è affondato nel caos per responsabilità unica ed esclusiva degli uomini. Nessuno escluso. Facile, facilissimo prendersela con l’allenatore. Ma i peccati del nostro capitano di sventura, più ospite che padrone della sua barca, non assolvono l’equipaggio e neppure l’armatore. Tutti sotto accusa: Ventura, i giocatori, la Federazione, l’intera organizzazione del nostro calcio, la politica. Con il possibile concorso dei media colpevoli forse di non aver segnalato con ancor maggiore energia gli iceberg all’orizzonte. Tutti chiamati a pagare pro quota il prezzo salato della mancata qualificazione.
Nel day after, il gioco delle sentenze è crudele ma inevitabile. Ventura per dignità personale non può che andarsene. La sua insistenza su moduli inadeguati, l’assenza di movimenti e di identità, quei tre difensori centrali tenuti a palleggiare in orizzontale sino al novantesimo, l’incapacità di offrire un ruolo a Insigne, il nostro uomo tecnicamente più dotato, sono apparsi peccati abbaglianti nell’inferno di San Siro. Quanto a Buffon e gli altri grandi vecchi sono attesi da un contrappasso ancor più feroce: spinti all’addio da una sconfitta incancellabile dopo tante vittorie memorabili. In Federazione, invece, Tavecchio pare intenzionato a non mollare: in fondo, si dice, dopo un inizio farcito di gaffes ha conseguito risultati non disprezzabili sul piano internazionale, aveva scelto Conte, ci ha portato la Var. Sarà, ma il calcio italiano va rifondato alle radici. E per farlo occorrono facce e idee nuove. Senza arrivare alle precipitose dimissioni di Abete dopo il fiasco brasiliano, crediamo che il presidente debba trovare presto un modo dignitoso per lasciare campo libero al dibattito e al rinnovamento. Del resto la congiunzione astrale che ci porta un’estate senza mondiale e un nuovo governo (chissà quale) invita al cambiamento.
Ce n’è un gran bisogno. Dopo il trionfo del 2006, l’Italia è uscita nella fase a gironi sia in Sudafrica che in Brasile, è sprofondata nel ranking e stavolta non si è neppure qualificata. Non è solo colpa di Ventura se un torneo che mette in campo il 56 % di stranieri gli ha consegnato un campionario vivente di contraddizioni. Usurata la generazione degli eroi di Berlino, disperatamente priva di grandi talenti quella di mezzo, ancora acerba la nidiata dei giovani che giocano poco e non accumulano conoscenze. Se il materiale umano si è rivelato fragile ancor più lo sono istituzioni prive di managerialità. Come pensare che le leghe di A e B, paralizzate dalle personali convenienze di Lotito, possano mettere mano alla riforma dei campionati e al ripristino dei vivai? In Spagna i grandi club destinano almeno il 10 % del loro enorme fatturato alle giovanili, in Italia i club più virtuosi arrivano a stento ai dieci milioni. Questi sono i temi che sin da domani la Gazzetta porrà sul tavolo. La batosta resterà. Terrificante, indigeribile, indimenticabile. Dobbiamo far di tutto perché almeno serva a qualcosa.

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